MISSIONE UMANITARIA A ODESSA

MISSIONE UMANITARIA A ODESSA

Diario di bordo

Giorno 1, Roma GIOVEDÌ 17 MARZO 2022

Alle 4 di mattina il suono della sveglia sembra il fischio di una pallottola. Dove sono? Dalle finestre non trapela alcun raggio di luce. Prendo lentamente coscienza ed entra in me una lucida consapevolezza: si parte!

Il corpo è ancora lento, ma la mente acquista via via velocità. Inizia il rito della preparazione: subito la doccia per svegliarmi e poi una frugale colazione. Ultimi preparativi: lo zaino è pronto, chiudo tutto e via di corsa verso Fiumicino.

Anche l’aeroporto si sta svegliando: le persone si aggirano tra i gate aperti, le luci iniziano ad accendersi, i negozi stanno aprendo. Ci sono anch’io con i miei pensieri lunghi e la forte motivazione nel portare qualche aiuto umanitario ai civili della città di Odessa, da consegnare però nella vicina Palanca, in Moldavia. Ripasso mentalmente le varie cose necessarie per affrontare il lungo e faticoso viaggio, da quelle più importanti, come la mappa dettagliata del tragitto, i documenti personali, il noleggio dei furgoni, i materiali preziosissimi da trasportare e le istruzioni per le tre squadre di volontari, a quelle forse più banali ma ugualmente preziose, come l’approvvigionamento di cibo e acqua e una scorta di mandorle e cioccolata per ogni equipaggio. Tutto è pronto per partire. L’aereo per Palermo è in perfetto orario. Si decolla.

L’arrivo è puntuale. Scendendo dalla scaletta, vengo sferzato in viso da un vento freddo, inusuale per questo periodo nel capoluogo siciliano. Pensavo di incrociare le prime folate di caldo, ma oggi non è così. La primavera arriverà comunque presto, la luce mediterranea riprenderà tutta la sua forza e il suo vivido splendore.

Alle 9 ho appuntamento presso la sede della società dove sono stati noleggiati i tre furgoni, vicino la stazione Notarbartolo di Palermo. Un pensiero spontaneo, anche se solo accennato, va a Emanuele Notarbartolo, un grande personaggio dimenticato dell’antica Sicilia, colpito dalla mafia e dal suo sistema collusivo perché serio e rigoroso nello svolgere la sua funzione professionale e sociale.

Con Pietro Scozzari e Marco Zummo, assente Francesco Ruggieri perché bloccato a casa per il Covid, definiamo le pratiche e gli accordi di una sponsorizzazione umanitaria trasparente e desiderosa di aprire un percorso verso quella parte di Ucraina fino ad ora trascurata.

Spiego bene che la meta è Odessa, non a caso definita la perla del Mar Nero:una città bellissima, affacciata sul mare collegato al Mediterraneo attraverso il Bosforo, un posto soave ma anche geopoliticamente sensibile, che in questi giorni ha iniziato a subire i primi terribili cannoneggiamenti delle potenti navi russe.

Questo importante centro industriale, culturale, scientifico e turistico ha stretti legami con l’Italia e in particolare con Napoli. Infatti, fu fondata nel 1794 dal napoletano Giuseppe De Ribas, che ne organizzò il porto, la flotta e il commercio, rendendola una città importante per il Mar Nero e il Mediterraneo. Si costituì presto una colonia italiana, presente tuttora, che diede un contributo fondamentale all’economia dell’impero russo, tanto che l’italiano rimase lingua ufficiale dell’attività economica della città. Anche alcuni importanti monumenti, come l’Opera e la Chiesa della Trinità, sono stati progettati dall’architetto napoletano Francesco Frapolli. C’è poi un particolare che molti non conoscono: la famosa canzone “O’ sole mio” fu scritta e composta a Odessa, ispirata a una bellissima alba sul Mar Nero.

Un’immagine di Odessa prima dell’invasione russa

Terminate le procedure burocratiche, finalmente si parte: dopo la foto di rito con i nostri gentilissimi e sensibili sponsor, si avvia la marcia verso la prima meta, la Fiera del Mediterraneo, dove dobbiamo caricare il materiale sanitario e alimentare, merce preziosa di cui Odessa ha un estremo bisogno.

Insieme agli sponsor della Missione:

Pietro Scozzari (Maggi), Francesco Ruggeri (Euromanager) e Marco Zummo (gruppo Karol)

La squadra dei volontari è definita e strutturata in tre equipaggi. Insieme a me e Sonia Alfano, ci sono Christian Greco, Enzo Pendolino, Salvatore Pignataro, Romina Pennisi e Chicco Alfano.

Appena insieme ci siamo subito ritrovati, gli occhi sono quelli giusti, motivati e determinati. Così anche il linguaggio: le prime battute fanno trasparire disponibilità e cooperazione.

Al padiglione 25 della Fiera del Mediterraneo, incrociamo il cuore del volontariato operativo, guidato da Emilio Pomo, leader storico dei volontari di protezione civile in Sicilia. Sono presenti anche gli esponenti del MoVI e di altri gruppi del volontariato palermitano.

Dopo i primi sguardi di intesa, inizia il lavoro per impilare in modo ben ordinato gli scatoloni sui furgoni. Ognuno fa qualcosa, tutti affrontano la fatica senza battere ciglio e con cura si impegnano nel selezionare il materiale adatto e utile per questa missione umanitaria. Nel frattempo arriva un carico di aiuti raccolti da una scuola palermitana. Appena apprendono qual è la nostra meta, ci chiedono con entusiasmo di portare con noi una parte del loro materiale.

Caricando i furgoni

(in foto Sonia Alfano)

Non ci fermiamo un attimo, è un duro lavoro, ma alla fine risulta ben fatto: i tre furgoni sono carichi e pronti ad avviarsi, gli elenchi degli equipaggi sono stati consegnati, la lettera di accredito è stata definita. Partiamo così per la prima tappa: uscire da Palermo per ritrovarci alla stazione Caracoli sul tratto Palermo-Messina, subito dopo Termini Imerese.

Sostiamo sulla piazzola, ci mettiamo in cerchio e ripassiamo insieme il tragitto. Ribadiamo anche lo spirito della missione, che intende aprire una pista nuova per gli aiuti umanitari, in modo da raggiungere Odessa e prestare assistenza ai civili rimasti a vivere tra mille difficoltà e rischi in città per scelta o per necessità, o anche per paura di essere colpiti durante la fuga. La missione è in contatto costante con la municipalità di Odessa e con il Consigliere diplomatico italiano, Attilio Malliani, una persona infaticabile e coraggiosa, che ha deciso di rimanere in città con tutta la famiglia, nonostante il continuo peggioramento della situazione.

Stabiliamo un ordine di sequenza nella disposizione dei furgoni e indichiamo a grandi linee le tappe. Il primo obiettivo è il passaggio tra la Sicilia e la Calabria, quindi la prima sosta è sul traghetto che solca ripetutamente il mare profondo, antico e tormentato dello Stretto.

La squadra in partenza:

Christian Greco, Enzo Pendolino, Salvatore Pignataro, Giuseppe Lumia, Romina Pennisi, Sonia Alfano, Chicco Alfano

Sul parabrezza e sul retro dei furgoni abbiamo attaccato il logo della missione e l’immagine delle due bandiere, quella italiana e quella ucraina, con la scritta: “Humanitarian mission – Peace, always!”.

Humanitarian mission – Peace, always!

Alle 18:20, dopo aver guadato velocemente e senza intoppi lo stretto di Messina, sbarchiamo a Villa San Giovanni. Siamo sul continente: ci aspetta una bella cavalcata, bisogna attraversare l’intera penisola. La Sicilia, in effetti, è lontana da Odessa: la meta dista ancora circa 3.100 chilometri. Programmiamo la prossima tappa a Lauria Sud, alla fine della lunga Calabria.

Stasera la luna risplende in modo particolare: è piena e il suo chiarore vivido rischiara la nostra strada.

Sono ormai le 23. La risalita della Calabria ha sempre un suo fascino e nello stesso tempo scatena mille pensieri. I motivi non mancano. L’asperità e la bellezza dei suoi monti. I paesini antichi, muti testimoni dello scorrere della storia. E poi la sua ricchezza culturale, con i contributi di Gioacchino da Fiore, Bernardino Telesio e Tommaso Campanella scolpiti nel pensiero Mediterraneo.

Lasciando la provincia di Reggio, scorgiamo nella notte le fiamme rosseggianti di un incendio che divora gli alberi sul pendio della montagna. Il cuore ci si stringe e si accavallano altre riflessioni sui mille problemi sociali che attanagliano questa Regione e che non si riescono a risolvere. La ‘ndrangheta è stata lasciata crescere a dismisura sino a diventare un sistema collusivo ed economico tra i più devastanti al mondo.


Superiamo spediti territori stupendi, ricchi di fascino, che hanno dato vita a movimenti di pensiero di grande spiritualità e innovazione culturale e sociale e hanno ispirato il Volontariato moderno, che in questa difficile fase, giorno dopo giorno, svolge un ruolo eccezionale di protezione dei diritti di cittadinanza e della cultura della legalità. Ma vengono alla mente anche i contemporanei impegnati nel sociale, come don Italo Calabrò, don Giacomo Panizza, don Pino De Masi, Patrizia Piro, Tonino Perna, Mario Nasone, senza dimenticare l’attività antimafia di donne e uomini, di giovani che con coraggio portano avanti impegni di legalità e sviluppo raccontati dal mitico Orfeo Notaristefano o dal generoso Carlo Mellea.

A Lauria sud non ci fermiamo, perché l’area di servizio, che pensavamo di utilizzare subito dopo il casello, di sera tardi ci sembra chiusa, scopriamo solo dopo che non è così. Sarà per la prossima volta. Puntiamo allora dritti su Sala Consilina. Lasciamo anche la Basilicata assaporando, attraverso i nomi riportati sui cartelli stradali, le peculiarità delle sue località più belle e prestigiose, da Sapri a Maratea.

La fermata a Sala Consilina, in Campania, ci aiuta a ricaricare le nostre scorte energetiche con i classici e scontati panini e con i dolci non troppo gustosi che si possono trovare nelle aree di servizio, tuttavia constatiamo con piacere che le sfogliatelle non sono tanto male. Facciamo anche rifornimento di carburante e riprendiamo poi la nostra marcia, lungo la Campania da attraversare provincia per provincia, a iniziare da Salerno, dove la ricchezza del Volontariato non teme confronti sotto la guida di Mimmo De Simone e Paolo Romano. Anche a Napoli il Volontariato ha sempre svolto una funzione di coraggiosa innovazione. Nel capoluogo campano ha sede la Fondazione Mediterraneo, così profetica nel costruire, grazie al pensiero e all’azione di Michele Capasso, percorsi di apertura agli Stati Uniti d’Europa, in vista degli Stati Uniti del Mondo.

Prossima tappa Roma, area di servizio Prenestina est.


Giorno 2, VENERDÌ 18 MARZO

Alle 3 di mattina entriamo nella zona di Roma. La Città eterna fa sempre un certo effetto: mentre la guardiamo da una certa distanza, avvolta in una tenue nebbiolina dovuta all’umidità notturna, e a tratti la lambiamo seguendo il percorso autostradale, non possiamo fare a meno di lasciarci afferrare dalla carica storica che questo territorio porta con sé. Anche qui il mondo del Volontariato ha saputo aprire strade nuove. Per esempio, negli anni Settanta, su ispirazione del fondatore del Volontariato moderno, Luciano Tavazza, si organizzò un’iniziativa per affrontare “i mali di Roma” e offrire un contributo prezioso all’eliminazione delle famigerate baraccopoli, strutturando un modello di welfare ricco di stimoli per il cambiamento portentoso di quegli anni alla guida della Capitale.

La marcia continua con uno spirito di squadra molto alto. Sonia ha creato una chat su Whatsapp per tenerci in contatto: tra informazioni di servizio e qualche battuta, l’affiatamento nel gruppo cresce di ora in ora.

Stabiliamo come prossima meta Firenze, con l’obiettivo di giungervi di mattina presto, per riposare un poco, prima di consumare l’ultimo tratto di autostrada in Italia.

Arriviamo infatti a Firenze alle 5:30 e la stanchezza stavolta si fa sentire. Il riposo è veramente necessario, il sonno bussa e reclama il suo legittimo spazio.

Riusciamo a riposare un paio di ore, seppure rannicchiati alla meno peggio in cabina. Alle 8 sveglia, colazione e rifornimento di carburante. Decidiamo di riempire solo mezzo serbatoio, perché il costo della benzina in Italia è diventato insopportabile. Abbiamo calcolato che il carburante sarà sufficiente per oltrepassare il confine, con la certezza che all’estero troveremo prezzi migliori.

Anche Firenze ha rappresentato una tappa importante di crescita del Volontariato moderno, guidato dal sindaco Giorgio La Pira durante i drammatici eventi legati allo straripamento dell’Arno. La città colpita duramente seppe rialzarsi grazie a migliaia di volontari che giunsero da tutto il mondo per recuperare i suoi preziosi tesori artistici e culturali. È anche la città di Antonino Caponnetto, dove è ancora viva un’idea di antimafia rigorosa ma aperta alla progettualità e alla condivisione, grazie al Vertice organizzato periodicamente dalla Fondazione Caponnetto ben guidata da Salvatore Calleri, che scandisce il ritmo del cammino seppur travagliato dell’antimafia.


L’autostrada si inerpica. Attraverso le moderne gallerie della variante di valico, raggiungiamo Bologna, la città del sapere, progressista, lacerata nella sua intima essenza dalla strage alla Stazione centrale, ma capace di non perdere la bussola della sua funzione progressista. È la città in cui il Volontariato sa farsi integrazione, con il forte piglio della dimensione pubblica.

Superata Bologna, il nostro cammino punta dritto a Padova, alla pancia del Veneto e alla sua campagna ben coltivata. Questa zona non è fredda nell’animo come sembrerebbe all’apparenza. Attraversare Padova fa un effetto quasi mistico, sembra di essere inondati dalla benedizione dei suoi celebri Santi. Nel 2020, è stata la capitale europea del Volontariato, di recente organizzato sotto la guida magistrale di Emanuele Alecci: la prima città europea a ottenere questo importante riconoscimento della sua profonda adesione alla pratica e alla cultura dell’agire solidale. In ogni famiglia c’è qualcuno che partecipa concretamente alla vita di un’organizzazione di volontariato. Anche in questa stagione difficile, prima per il Covid e adesso per la guerra scatenata contro l’Ucraina, Padova si comporta realmente da “capitale”, mobilitandosi al meglio delle sue capacità con qualità e passione.

L’autostrada si incunea verso il confine. A Venezia iniziamo a immaginare il percorso che ci porterà fuori dai confini nazionali, pur restando dentro quelli del pensare fraterno tra i popoli in Europa.

Nella tappa di Gorizia c’è la plastica rappresentazione del contraddittorio cammino dell’Europa: passando sotto il ponte che in modo evocativo è stato battezzato “Porta d’Italia”, si attraversa il confine di Stato e si passa in Slovenia. Fa venire i brividi il solo pensiero che per decenni una linea tratteggiata su una carta geografica abbia separato essere umani che parlano la stessa lingua, che hanno una storia comune e un’articolazione familiare mescolata capillarmente. Adesso l’Europa ha riunito sotto un unico manto queste terre, ravvicinate da un comune destino, facendo in modo che la frattura dell’identità locale sia finalmente ricomposta.

Il ponte Porta d’Italia, al confine tra Italia e Slovenia

(immagine by Matildi)

Lasciamo quindi l’Italia ed entriamo in Slovenia. Il cammino alle nostre spalle è stato lunghissimo. Avvertiamo la fatica che morde le membra, ma il desiderio di portare a termine la missione prende il sopravvento e produce adrenalina e motivazione in abbondanza.

La Slovenia, in alcuni momenti storici, ha conosciuto i rigori della stretta sulla libertà poi, di recente, ha vissuto una stagione di conflitti anche armati pur di ottenere il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione e ora rinasce grazie allo sviluppo attuale, frutto di una spinta interna presente nel corpo vivo della società slovena, grazie agli energici investimenti dell’Unione Europea.

L’autostrada è scorrevole e modernamente concepita. Il costo della benzina è buono e anche il prezzo del pedaggio è ragionevole e valido per tutta la rete autostradale, per un’intera settimana. Le aree di servizio sono moderne, accoglienti e ben pulite. C’è molto traffico sul nastro di asfalto che serpeggia all’interno di una campagna ben coltivata, in cui spiccano le attività agricole. Scorgiamo appena Lubiana ma ci sembra piena di vita e moderna, senza gli eccessi dei contesti urbani occidentali.

Anche il Volontariato sloveno sta crescendo e sta provando a darsi un proprio profilo non solo operativo ma anche culturale. Attraversiamo insomma un Paese brillante pieno di dinamismo e di voglia di crescere.

                                                       

Il percorso: dal confine di Stato a Budapest

Entriamo senza soluzione di continuità in Ungheria, stando attenti ad acquistare sempre le vignette elettroniche, per il pagamento del pedaggio autostradale. Il Paese magiaro presenta due volti: uno attraente, per la vivacità culturale retaggio di una nobile tradizione, desiderosa di farsi sempre più europea con standard avanzati nella cultura dei diritti civili e sociali; l’altro cinico, quello dell’Ungheria di Orban, che pensa a un modello di sviluppo chiuso, conservatore nei rapporti sociali e teso a limitare diritti e libertà. È un’ambiguità dolorosa, che trova riscontro nella stessa freddezza dell’Ungheria di fronte alla necessità Europea di condannare con sanzioni severe l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin e nel suo cinismo: nazionalista e autoreferenziale all’interno, ma interessata e ben disponibile agli investimenti che arrivano comunque dall’Europa.

Anche il Volontariato ungherese si impegna però nell’accoglienza dei profughi ucraini, senza lasciarsi irretire dalle dinamiche contraddittorie di Orban.

Dopo aver costeggiato il lago Balaton, il più grande dell’Europa centrale, arriviamo nei pressi di Budapest: una capitale sempre fascinosa e superba, che reca i segni storici della sua antica eleganzae al contempo è proiettata nelle dinamiche veloci dello sviluppo.

Proseguiamo nell’attraversamento dell’Ungheria: il pomeriggio corre veloce e inizia a scendere di nuovo la sera. Dobbiamo tenere un buon ritmo. Le aree di servizio sono attrezzate di tutto punto, la benzina costa ancor meno che in Slovenia. Non ci siamo mai riposati da quando abbiamo sostato nella ormai lontana Firenze.


Alle 21:30 circa entriamo in Romania e lo scenario cambia, si nota subito un certo scarto con la Slovenia e l’Ungheria già dall’autostrada, che non garantisce gli stessi livelli di sicurezza e modernità. Ad un certo punto, notiamo una fila interminabile di Tir fermi su un lato dell’autostrada: ci chiediamo quale possa essere il motivo, ma nessuno di noi sa rispondere. Con nostra sorpresa, scopriamo che c’è un controllo alla frontiera. Ci rendiamo conto che la Romania, pur essendo membro dell’Unione Europea, ancora non è dentro quel Patto di Schengen che ci ha regalato una impagabile sensazione di libertà, la possibilità di superare i confini senza formalità. Il controllo è veloce e senza pretese, il nostro convoglio subisce solo un piccolo rallentamento. Riprendiamo la marcia: la Romania è molto estesa, alla guida bisogna avere pazienza e tenacia.

Facciamo tappa a tarda sera a Timişoara. La periferia appare desolante, ma la città è interessante, ricca di storia e ora in pieno fermento economico per gli investimenti stranieri. Fu in questa città che nacquero le proteste che poi portarono alla caduta della dittatura di Ceaucescu. Già nell’Ottocento, fu la prima città europea ad avere le strade illuminate con i lampioni elettrici e la prima città dell’Impero asburgico ad avere la rete telefonica e il tram elettrico.

Il centro sorico di Timisoara

(foto by Inognidove)

L’albergo Reghina blue è di buon livello e il costo è contenuto, per di più c’è un parcheggio riservato dove tenere in sicurezza i furgoni per la notte. Finalmente possiamo lasciarci andare un po’: ci ritiriamo subito nelle camere e il sonno ci avvolge immediatamente. Purtroppo il tempo vola e la luce del giorno si presenta puntuale, richiamandoci al nostro obiettivo.

Il percorso: da Budapest a Palanca


Giorno 3, SABATO 19 MARZO

Dopo una discreta colazione, partiamo per l’ultima tappa: Palanca, in Moldavia, al confine con la regione di Odessa.

Mentre attraversiamo Timişoara, pensiamo a come sarà tra qualche anno. Si vedono tanti cantieri, la trasformazione è in atto. Se da una parte si sta riuscendo a portare ordine in una società che si stava smarrendo, dall’altra non si può non pensare al rischio di infiltrazioni di imprese mafiose, che sicuramente tenteranno di approfittare della pioggia di investimenti per fare affari.

Alla guida del furgone durante la traversata della Romania

Mentre viaggiamo decisi e rimotivati, dopo aver recuperato le energie, decidiamo di comune accordo con il Consigliere diplomatico italiano di Odessa di cambiare meta. Per la consegna degli aiuti umanitari, sarà meglio restare in Romania, puntando a Sud, un po’ più lontano da Odessa ma in un luogo più sicuro. Dovremo arrivare a Tulcea, percorrendo ben 250 chilometri in più.

Cambio di programma e percorso… tracciamo il nuovo itenerario

Tulcea è una città moderna, già la conformazione urbanistica rende evidente il suo carattere euromediterraneo. Ha un fascino particolare, perché si affaccia su uno dei bracci dell’estuario del Danubio. Le luci si riflettono sull’acqua del secondo fiume più lungo d’Europa e restituiscono un paesaggio incantato. Quasi sembra impossibile che a pochi chilometri da lì la guerra stia distruggendo città e trucidando persone.

Prendiamo alloggio all’hotel Delta, quello a tre stelle (c’è anche la versione a quattro stelle a pochi metri di distanza), dignitoso e pulito. Appena ci stendiamo sul letto, cadiamo in un sonno profondo e senza sogni, davvero sfiniti ma comunque in trepidante attesa del passaggio definitivo. Ormai siamo quasi tormentati dall’idea fissa di consegnare il prezioso materiale che trasportiamo direttamente nelle mani degli ucraini, perché ci siamo resi conto di quanto sia “appetibile” il carico per i malintenzionati. Il parcheggio dell’hotel in effetti non offre le garanzie di sicurezza che cercavamo, ma non possiamo che fidarci delle rassicurazioni della receptionist e del guardiano notturno.

L’Hotel Delta e il suo parcheggio a Tulcea


Giorno 4, DOMENICA 20 MARZO

Dormiamo profondamente e alle prime luci dell’alba siamo già in piedi, pronti e ansiosi di percorrere l’ultimo tratto del viaggio. Ci affacciamo alle finestre delle nostre stanze e per fortuna i furgoni sono regolarmente parcheggiati al loro posto.

Oggi è domenica. Avvertiamo subito che questa giornata ha un sapore ulteriore, quello della santità operativa tipica di chi vive l’esperienza del volontariato, di chi sente che la meta è vicina, che bisogna dare il meglio di sé proprio in queste ore, con responsabilità e umiltà.

Facciamo gli ultimi preparativi, ridefiniamo il percorso, il “chi fa che cosa”. Ci mettiamo alla guida dei nostri tre furgoni e via per il porto, “sul bel Danubio blu” musicato da Strauss. Ma nel frattempo è stato concordato un ultimo cambio di meta, per rendere ancora più sicura ed efficace la nostra missione: dobbiamo recarci al porto di Isaccea, a una trentina di chilometri di distanza da Tulcea. La sicurezza non è mai troppa e non dare punti di riferimento preventivi è una buona e saggia strategia.

Percorrendo la strada tra Tulcea e Isaccea

Isaccea si trova in una zona di frontiera che si affaccia sul Danubio: raggiungendo l’altra sponda, metteremo piede in Ucraina, su un lembo di terra che collega i due Paesi, nel distretto di Orlivka. Potremo così davvero consegnare i nostri aiuti direttamente alla comunità di Odessa, che sta soffrendo e correndo gravi rischi.

Arriviamo presto al porto. Intorno a noi ci sono altri convogli umanitari, ma il nostro è l’unico proveniente dall’Italia ad arrivare in questa parte di Ucraina così martoriata, esposta al fuoco dei cannoni delle navi corazzate russe, ancorate in rada di fronte allo strategico porto di Odessa.

Il nostro sguardo è catturato dal movimento lento di una chiatta che sta per attraccare a pochi passi dai nostri furgoni, sventolando la bandiera dell’Ucraina. I volontari del campo di accoglienza sono pronti, il loro volto è segnato dall’emozione. Ad ogni arrivo c’è la stessa partecipazione e premura nel prestare la migliore accoglienza. Nei nostri occhi c’è commozione: intravediamo da subito i profughi che si preparano a sbarcare, soprattutto donne e bambini, il cui volto è segnato dalla sofferenza, quella sofferenza che scende nel cuore e cattura l’anima.

Profughi in arrivo a Isaccea, piccolo avamposto di accoglienza

Isaccea è diventato un piccolo avamposto di accoglienza, una volta sperduto, oggi anch’esso prezioso per chi fugge. Per noi è una porta d’ingresso nella terra martoriata dell’Ucraina, nell’oblast di Odessa.

Il Danubio scorre, ha una portata d’acqua vasta. È un fiume che, come abbiamo appreso sui libri di storia geografia a scuola, non solo bagna diversi Stati con le rispettive popolazioni, ma ha attraversato anche alcuni dei momenti più tragici e significativi della storia europea. Anche in questo momento il fiume sembra pronto a raccogliere le grida di dolore, a dare spazio ai tratti di umanità che le guerre trascinano con sé. Il fiume scorre come la vita: spetta a ciascuno di noi avere la consapevolezza e la determinazione per evitare che il fluire sia passivo, che si lasci l’ultima parola alla forza della guerra, piuttosto che all’energia della pace.

All’improvviso, in lontananza si alza una densa colonna di fumo nero. La guerra ci dà il suo benvenuto con la sua dura realtà. 

Sul Danubio, in lontananza si alza la colonna di fumo. La guerra ci dà il suo benvenuto.

La chiatta si avvicina, i profughi sono ormai a pochi passi dalla terra sicura. Attraversano un pontile, al cui corrimano sono legati alcuni peluche colorati per i bambini: molti passano, ne prendono uno e lo stringono forte al cuore. I piedi calpestano finalmente la nuova terra, che dà speranza e sollievo.

Il pontile con i peluche colorati legati ai corrimano

Sembra che attraversino un passaggio che si è aperto tra le acque, come nel racconto biblico del Mar Rosso. I profughi sono carichi di valigie e zaini, portano poche cose con sé, ma hanno sicuramente il cuore oppresso dall’incertezza del futuro, da un dramma che si è abbattuto inspiegabilmente su di loro. Anche i nostri occhi si inumidiscono. Non riusciamo a trattenere qualche lacrima nel vedere tutte queste persone che scendono dalla chiatta e si avvicinano smarriti alle tende del campo di prima accoglienza, per essere rifocillati e accuditi. Tira un vento teso e gelido che sferza il viso e gela i nostri cuori, segnati per sempre da questa esperienza.

La nostra meta è ormai vicina. Stiamo effettivamente per consegnare gli aiuti umanitari, dall’altra parte del Danubio, in territorio ucraino.

Saliamo sulla chiatta, che si avvicina velocemente alla sponda ucraina. Guardiamo la colonna di fumo che continua ad alimentarsi sul territorio ucraino. I pensieri si affollano, ci domandiamo che cosa troveremo, quali formalità ci saranno richieste, visto che i controlli sono particolarmente puntigliosi, se gli addetti saranno subito pronti a gestire il materiale che dobbiamo consegnare. Guardiamo i giovani armati di fucili, che ci sembrano piuttosto antiquati, e ci chiediamo quanta sofferenza stanno provando, pensando alle loro famiglie lontane e al loro futuro, diventato improvvisamente così incerto.

In attesa dei controlli e delle ispezioni

Anche sul lato ucraino i nostri documenti personali e quelli dei furgoni sono meticolosamente controllati. Dobbiamo aprire sia il portellone posteriore sia quello laterale, per consentire una veloce ispezione. Dopo un’attesa che ci è sembrata infinita, finalmente accediamo all’hangar dove possiamo depositare i presidi sanitari e il cibo durevole.

La polizia doganale ucraina è severa, del resto deve impedire che passino merci non consentite e persone pericolose che per il vil denaro vanno a sfruttare i bisogni elementari delle persone, attraverso il mercato nero. Gli addetti ucraini alla sicurezza e alla gestione del magazzino sono più gentili, comprendono che abbiamo voglia di prestare il nostro aiuto ed esprimere la nostra solidarietà. Seguendo le loro istruzioni, facciamo retromarcia con i furgoni sulle rampe, poi ci disponiamo in fila e formiamo una catena, noi insieme a loro, per scaricare velocemente i pacchi.

Scarichiamo velocemente il materiale e la fatica svanisce in un attimo

La fatica svanisce in un attimo, ogni scatola sembra leggera. Con movimenti veloci e coordinati, in poco tempo accumuliamo numerosi scatoloni, contenenti presidi sanitari e cibo a lunga scadenza, che resteranno ben custoditi in un deposito, dove saranno poi prelevati dalla delegazione di Odessa. Dedichiamo una particolare attenzione al farmaco salvavita per i diabetici che abbiamo trasportato con cura: in quel contesto, l’insulina è preziosa e richiestissima. Il nostro compito è stato eseguito!

Scattiamo foto e ci scambiamo saluti. Facciamo gesti di incoraggiamento, esclamando: «Slava Ukraini!», una espressione di saluto che significa «Gloria all’Ucraina».

Il magazzino di Orlivka. Missione compiuta: Slava Ukraini!

Iniziano le procedure per rientrare in Romania, ma il prossimo viaggio della chiatta è alle 16:30 e dobbiamo attendere ancora un paio di ore. Non abbiamo mangiato nulla, oltre al cestino della colazione fornitoci dall’albergo. Fortunatamente, in mattinata, durante l’attesa per il trasbordo, alcune ragazze volontarie romene ci hanno offerto un infuso caldo, che abbiamo gradito particolarmente, considerata la temperatura gelida.

Nel frattempo, familiarizziamo con altre due spedizioni, una polacca e l’altra romena, entrambe guidate da due imprenditori.

L’imprenditore polacco è titolare di una ditta che costruisce i tetti e si sta prodigando moltissimo per sostenere i civili che restano in città, proprio come abbiamo inteso fare noi. Un aiuto ulteriore rispetto ai grandi centri di accoglienza per profughi organizzati dalla Polonia. Si chiama Grzegorz: lui ha una esperienza consolidata, perché quasi ogni settimana è a Isaccea. In attesa del traghetto, all’andata, ci ha dato preziosi suggerimenti, ci ha spiegato che non dovevamo pagare il biglietto per la chiatta, essendo un convoglio umanitario, e ci ha mostrato come riempire il modulo di dichiarazione della merce trasportata.

La dichiarazione firmata di avvenuta consegna

Con la delegazione polacca familiarizziamo subito, l’intesa è profonda. Nutrono anche loro uno spirito profondo di apertura e inclusione. Sappiamo che in Polonia non c’è un consenso unanime sull’accoglienza dei profughi, ma con la guerra in Ucraina finalmente sembra prevalere il senso di solidarietà. Chissà se la Polonia riuscirà a capire che il nazionalismo è sempre un male, perché porta conflitto e odio, spesso scatena la guerra in cui il nazionalismo minore viene divorato da quello maggiore.

L’altra delegazione è guidata da un imprenditore romeno che ha lavorato a lungo in Italia, a Bologna. Tornato nella sua patria, ha aperto una ditta di trasporti, con ben 80 dipendenti. Anche lui ha scelto di sostenere i civili che rimangono bloccati nelle proprie città e anche lui ha deciso di dare una mano ad Odessa. Ci ha spiegato quanto sia importante che molte famiglie romene al confine con l’Ucraina siano disposte ad aprire le porte delle loro case ai profughi ucraini. Durante la seconda guerra mondiale, infatti, i romeni della regione della Bucovina hanno subito efferate violenze proprio ad opera degli ucraini, allora facenti parte dell’Unione sovietica. Offrendo riparo a donne e bambini ucraini in fuga dalla guerra, ci ha detto, si può interrompere la spirale di odio e desiderio di vendetta, voltare pagina e sperare in un futuro diverso, in cui prevalga la fratellanza dei popoli, sotto il segno della pace e della cooperazione.

Le ore volano via. Il confronto con la delegazione polacca e con quella romena ci ha arricchito moltissimo. Ci scambiamo il numero di telefono, per ritrovarci tramite whatsapp o altri social e magari rivederci in una nuova missione, oppure in futuro, come si conviene tra persone che si sentono parte di un comune destino, che hanno la voglia di costruire un’altra Europa, gli Stati Uniti d’Europa.

Risaliamo sulla chiatta e scendiamo dal furgone. Ci troviamo così confusi nel gruppo di profughi che sta fuggendo in Romania. Accanto a noi ci sono donne molto giovani, con figli di tutte le età, anche bambini piccoli sui passeggini. Hanno il viso segnato dalla sofferenza per aver lasciato i loro mariti a combattere contro l’invasore russo. È l’Ucraina che resiste e non vuole soccombere alla guerra sanguinosa imposta da Putin.

Torniamo in terra romena, con i furgoni vuoti ma i cuori carichi di emozione e soddisfazione per aver portato a termine la missione.

Anche qui dobbiamo sottostare all’ennesimo controllo. Dalle 7 di mattina, andiamo via solo alle 18.

Ci raduniamo e ci abbracciamo. Adesso possiamo tornare a casa. Dobbiamo però ancora stabilire quale tragitto fare, se ripercorrere la lunga ed estenuante strada dell’andata oppure tentare un nuovo percorso, verso la Grecia, per traghettare e raggiungere la Puglia e poi tornare in Sicilia, a Palermo.

Ci rendiamo conto che il tempo impiegato per la consegna degli aiuti umanitari ci impedisce di arrivare in orario per prendere il traghetto, anche perché la via della Grecia potrebbe risultare più complessa, non avendola sperimentata prima. Decidiamo allora tutti insieme di rimetterci in cammino e rifare la stessa la strada.

La strada del ritorno

La parte più difficile è attraversare l’interno della Romania, la zona montuosa della Transilvania, dove nonostante la strada sia stretta i TIR marciano ad un’andatura estremamente veloce. La imbocchiamo quando è già sera. Ci aspettano più di 500 chilometri molto pericolosi. Cerchiamo di restare in colonna mantenendo un buon passo, senza fare soste. Superiamo così questo tratto “maledetto”: quasi non ci sembra vero di esserci riusciti senza aver subito danni.

Decidiamo di non fare più soste lunghe, ma di fermarci il tempo strettamente necessario per le necessità fisiologiche e per fare benzina e controllare i mezzi nelle aree di servizio. Manteniamo un buon ritmo, nonostante la stanchezza cominci a farsi sentire. È ormai notte quando decidiamo di entrare a Bucarest per rifocillarci. Non abbiamo trovato da mangiare nell’area di servizio, per cui dobbiamo ripiegare sul classico McDonald’s.

Mentre percorriamo i viali di Bucarest, notiamo che questa antica capitale della Romania è elegante e fascinosa, tanto da essere ribattezzata “la piccola Parigi”, ma tenta di fuggire dalla decadenza del passato e avviarsi alla modernità con un processo di rinnovamento: fra qualche anno, potrà presentarsi anch’essa come una splendida capitale europea.

Bucarest, la “piccola Parigi”

Foto by SiViaggia

Ma la vera sfida per la Romania sarà quella di modernizzare le aree interne, che sono piuttosto arretrate. Naturalmente in questa sfida dovrà essere accompagnata da un’Europa capace di combattere le disuguaglianze, comprese quelle territoriali, di cui soffre anche l’Italia.

La marcia continua, il ritmo è sostenuto, ormai non ci fermiamo praticamente più. Siamo concentrati sull’Italia. Abbiamo deciso di riconsegnare i furgoni all’autonoleggio di Bergamo, da dove è possibile prendere un volo diretto per Palermo a costi contenuti.

Usciamo dalla Romania, attraversiamo di nuovo l’Ungheria e la Slovenia e finalmente riusciamo a varcare il confine italiano nel primo pomeriggio. Ci restano però ancora diversi chilometri da percorrere lungo la trafficata autostrada che da Venezia giunge a Torino, a causa dei cantieri aperti che durano da molti anni.

Ogni tanto perdiamo la speranza di riuscire ad arrivare in tempo, si alternano speranze e delusioni, ma alla fine anche la meta di Bergamo è raggiunta. Sono però le 19 e l’autonoleggio è chiuso: con un po’ di insistenza, riusciamo a far comprendere la situazione al titolare e a raggiungere l’aeroporto in tempo per la partenza di una parte della squadra in aereo. Dopo quattro giorni e circa 5.400 chilometri, è il momento di separarsi, ma resteremo uniti per sempre da un’esperienza che ormai ha segnato le nostre vite.

La missione umanitaria però non finisce qui. Bisogna fare alcune verifiche per aiutare le altre spedizioni e concordare un ulteriore sostegno per Odessa, grazie all’infaticabile lavoro della sua municipalità e del nostro consigliere diplomatico. Arrivano messaggi da tutta Italia, c’è la disponibilità a dare una mano.


L’intinerario completo della missione.

Ecco la nuova sfida: raccogliere le energie e sostenere ancor di più questo nuovo percorso umanitario.