Giuseppe Lumia

RUBRICA – TESTIMONI DEL PENSARE E RIPROGETTARE: DON LORENZO MILANI

DON LORENZO MILANI: UN PRETE E UN EDUCATORE CHE CON IL SUO IMPEGNO HA ANCORA MOLTO DA DIRE ALLA CHIESA, ALLA SCUOLA E ALLA POLITICA.

Il 27 Maggio del 2023 ricorre il centenario della nascita di un prete che con le sue scelte ha aperto orizzonti nuovi e impensabili: don Lorenzo Milani.

Don Milani ha vissuto la sua breve seppur intensa vita religiosa in Toscana, in una zona piccola e aspra, marginale e di montagna, nella allora sconosciuta località di Barbiana, che dista dal piccolo centro di Vicchio circa 7 chilometri, nel Mugello, alle pendici del Monte Giovi. Ma con le sue opere e il suo pensiero ha saputo andare lontano e parlare al mondo: interrogando la coscienza di intere generazioni, orientando la ricerca pedagogica di educatori e animatori sociali, stimolando verso l’impegno innovativo nella Chiesa e nella stessa Politica.

Un “profeta di prossimità”, diremmo oggi.

La sua storia è travagliata, piena di ostacoli, tutta in salita. Ricca tuttavia di speranza e di risultati di enorme portata storica.

È cresciuto in una famiglia di grande cultura e apertura: il papà era un chimico con la passione per la letteratura, molto innovativo nell’attività agricola; il nonno paterno era un archeologo e un numismatico. Anche la mamma non scherzava per livello culturale: allieva di James Joyce e studiosa di Sigmund Freud, cugina di Edoardo Weiss, proveniva da una famiglia di ebrei boemi trasferitisi nella mitteleuropea Trieste. Pensate un po’: entrambi i genitori di don Lorenzo Milani si dichiaravano agnostici e anticlericali. Eppure la fede l’ha irradiato per tutta la vita e mai le sue profonde spinte innovatrici nella Chiesa lo portarono a propositi di rottura, anzi era molto protettivo nei confronti della Comunità Ecclesiale, rispetto a chi pensava ad un suo superamento.

Ha studiato da giovane a Milano, al famoso Liceo Giovanni Berchet, a dire il vero senza eccellere particolarmente. C’è stato anche un momento di prima affermazione della propria coscienza nella sua gioventù, quando dopo il diploma non volle iscriversi all’Università, come invece i suoi genitori si aspettavano, perché preferì dedicarsi all’arte della pittura. A maggio del 1941, si inserì nel prestigioso studio del pittore tedesco Hans-Joachim Staude, a Firenze, mentre a settembre si iscrisse al corso di pittura dell’altrettanto prestigiosa Accademia di Breda, a Milano. Furono luoghi dove, grazie anche a maestri eccezionali, proprio attraverso l’arte, iniziò ad aprirsi alla dimensione sacra e religiosa.

Era quello un momento storico molto tragico per l’Italia e l’Europa, che si trovavano sotto il dominio fascista e nazista. Nel giovane Lorenzo, insieme ad una compagna di corso, “Tiziana dai capelli rossi”, maturò uno spartiacque netto e di rifiuto della dittatura che lo accompagnerà per tutta la vita.

Con lo stupore dei più, già nel 1942 avvertì sgorgare dentro il proprio cuore la fede e la vocazione alla vita religiosa. Non senza conflitti e tormenti, decise di entrare presto in seminario a Firenze, dove nel frattempo si era trasferito con i genitori. Il periodo del seminario non fu semplice per lui, per via delle regole interne che sentiva obiettivamente retrograde e statiche, lontane dal vivido dinamismo del Vangelo.

Nel 1947 fu ordinato sacerdote da un Cardinale a lui molto caro, Elia Dalla Costa, nel sontuoso Duomo di Firenze. Venne assegnato da vice parroco prima a Montespertoli e poi a San Donato di Calenzano, dove si misurò con l’esperienza innovativa, che volle promuovere, della scuola per i lavoratori.

Gli si aprì così un mondo sociale che sentiva suo e che lo accompagnerà sino alla fine. Scrisse un libro profetico, per quegli anni, “Esperienze Pastorali”. I suoi rapporti con la Curia diventarono subito difficili: don Lorenzo Milani aveva un approccio troppo diretto e innovativo, per i gusti canonici di allora. Si decise di allontanarlo dal cuore di Firenze, per evitare che il suo particolare approccio pastorale potesse essere “contagioso”. Fu così spedito in un posto sperduto, dove si pensava che non potesse far danno, nel Mugello, addirittura in una sperduta frazione di un piccolo centro, Vicchio.

La montagna e la campagna trasudavano di povertà e arretratezza, ma don Lorenzo non si scoraggiò, anzi sentì che quella era la condizione privilegiata per annunciare e vivere una fede liberante.

Prese da subito vita la Scuola di Barbiana, aperta a chi veniva rifiutato o bocciato dalla scuola pubblica di quel tempo, facendo della pietra di scarto la pietra d’angolo. Nella Scuola di Barbiana, campeggiava il motto “I Care”, cioè scelgo di farmi carico del prossimo, in opposizione al motto fascista, cinico e individualista, del “me ne frego”.

Non mancarono i guai per don Lorenzo. Nel pieno della “guerra fredda” e della corsa agli armamenti, si rivolse ai confratelli cappellani militari con una straordinaria Lettera in cui difendeva l’obiezione di coscienza al servizio militare e agli ordini sbagliati. Venne per questo denunciato e processato per il reato di apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile. Nel febbraio del 1966, si concluse a Roma un processo che segnò la storia politica e culturale del cammino del nostro Paese verso un’ulteriore tappa di una effettiva democratizzazione. Don Lorenzo Milani si difese scrivendo una Lettera memorabile, dal titolo “L’obbedienza non è più una virtù”.

Con questa affermazione così sferzante, don Milani voleva far emergere il ruolo della consapevolezza e della responsabilità nelle scelte che compiamo, sia nei rapporti con le persone, sia nel legame da coltivare con l’idea di Patria, emersa dopo la liberazione dalla dittatura fascista, e nell’esercizio dei doveri istituzionali in un Paese democratico.

Nella Scuola di Barbiana si studiava e si leggeva molto, perché don Milani non voleva che le parole dei ricchi sovrastassero il lessico molto ridotto dei poveri. Per don Milani era importantissimo consentire ai ragazzi meno istruiti di conoscere quante più parole possibile e maneggiare al meglio il linguaggio: comprendere e farsi comprendere è il primo strumento per emanciparsi. Libri, giornali, poesie, saggi e fotografie fecero capolino nella moderna e rivoluzionaria pedagogia educativa vissuta a Barbiana. La scuola era popolare e a “tempo pieno”. Ci si immergeva sia nella teoria che nella prassi. Si infransero i cliché autoritari per dare corpo alla dinamica relazionale, comunitaria, responsabile e partecipata, che mette al centro la persona e la progettualità educativa integrata.

Si sperimentò e si realizzò una scuola realmente moderna e democratica, aperta e non discriminatoria soprattutto verso i figli dei contadini e dei lavoratori, che salivano nella sperduta Barbiana per incontrare intellettuali ed esperti di rilievo, ben noti e affermati.

Apriti cielo! Queste novità scatenarono polemiche a gogò. Molti benpensanti e conservatori non mancarono di stracciarsi le vesti e criticare una scuola così “eretica”.

Don Milani rilanciò e scrisse con i suoi studenti, nel maggio del 1967, la “Lettera ad una Professoressa”, che entrò anch’essa nella storia. In essa spiegò bene i limiti strutturali e fallimentari della vecchia scuola e avanzò un’altra idea di scuola, più consona alla nostra Costituzione e alla possibilità di dare a tutti l’accesso all’istruzione con un metodo progettuale ed educativo integrato, avanzato e ricco di stimoli creativi e di saperi culturali.

Siamo nel crogiolo del 1968, nel quale emerse in tutta la società la necessità di rompere con le vecchie gerarchie sociali e di aprire le relazioni e le istituzioni a nuovi orizzonti di modernità e di giustizia sociale. Siamo nella fase storica della Chiesa impegnata a vivere un radicale cambiamento grazie all’ispirazione e alle scelte maturate nel Concilio Vaticano II.

Anche con la politica don Lorenzo Milani instaurò un rapporto innovativo e profetico. Condivideva il “già” da vivere insieme della lotta per i diritti e della giustizia sociale, ma ricordava che il suo sguardo era proiettato nel “non ancora” da scrutare e desiderare. Con la memorabile “Lettera al compagno Pipetta” tracciò un percorso tra fede e politica tuttora vivo e ricco di sviluppo.

Siamo adesso a cento anni della sua nascita. Ritornare sui passi di don Lorenzo Milani può solo farci bene. Anche questa è una fase storica travagliata e delicata che richiede la capacità di ripensare e riprogettare il cammino non più solo di un Paese, ma dell’intera umanità.

Papa Francesco si è recato a Barbiana il 20 giugno 2007, per pregare sulla sua tomba e rilanciare la memoria e il messaggio di don Milani, dandogli un valore finalmente significativo ed esemplare per la vita di tutta la Chiesa, chiamata ad attraversare le intemperie dell’oggi.

Il Presidente Mattarella, proprio nel giorno del centenario, sarà a Barbiana per dare il giusto valore al significato etico e democratico delle intuizioni di don Milani e rendergli il tributo che lo Stato democratico gli deve. Le celebrazioni del centenario, promosse dal Comitato nazionale guidato dall’onorevole Rosy Bindi, saranno ricche di iniziative: si potrà fornire, soprattutto alle nuove generazioni, un esempio vivo e attuale di uno spirito libero e responsabile, che amava la fede in Dio e la giustizia tra gli uomini.

Con la pubblicazione di questo mese, la Rivista “Passione&linguaggi” si è dedicata ad un lavoro di scavo e di rilancio del pensiero di don Lorenzo Milani. La segnalo all’attenzione di quanti sentono il bisogno di mettersi alla ricerca di una via per proiettarci con fraternità e con amore verso il prossimo e l’ambiente, dentro “cieli e terre nuove”.

Per chi volesse saperne di più, suggerisco di gettare uno sguardo sulle tre famosissime Lettere che abbiamo citato.


DA ANTONIO GRAMSCI C’È ANCORA MOLTO DA IMPARARE. PER RIPENSARE E RIPROGETTARE IL CAMMINO DELL’UMANITÀ

Dopo anni di atroci sofferenze nel carcere fascista, il 27 Aprile del 1937 si spegneva Antonio Gramsci. Fu arrestato, processato e condannato nel 1926 dal Tribunale Speciale del regime. Gli ultimi tempi della sua vita li passò in una clinica di Roma.

Antonio Gramsci è ancora uno degli autori italiani più studiati al mondo. Il suo nome figura come il secondo più cliccato nel web, subito dopo quello di Dante, di cui fu fervido critico e scrupoloso interprete.

Perché il suo pensiero è così studiato? Perché, ancora oggi, è fonte di ispirazione per gli studiosi dei cambiamenti sociali, culturali e politici?

La vita di Antonio Gramsci affascina man mano che se ne approfondiscono le varie tappe, con un ritmo sempre più incalzante. Visse in un piccolo centro della Sardegna in condizioni di povertà e privazioni, soffrendo intimamente per il senso di ingiustizia causato da una irrisolta questione meridionale. Trascorse la sua gioventù a Torino, dentro i travagli vorticosi della dimensione industriale, con l’emergere del mondo del lavoro come soggetto sociale e politico di cambiamento. Giunse a Roma per guidare, durante l’affermazione inarrestabile di Mussolini, il Partito Comunista in Parlamento e nella Società. Fu rinchiuso in carcere, dove trascorse il tempo a pensare, riflettere e scrivere, mentre la sofferenza reale del suo corpo si mescolava con la speranza ideale del suo cuore e della sua mente.

Nei suoi scritti, si trovano spunti ancora attuali per ripensare e riprogettare il cammino dell’umanità. I “Quaderni dal Carcere” sono una miniera inesauribile di inedite chiavi di lettura per dotarsi di un filo analitico e di un piglio progettuale nel promuovere il cambiamento sociale e politico. Le “Lettere dal Carcere” sono una straziante e appassionante relazione di vita impregnata di tensione ideale e di ricerca di autenticità esistenziale.

Viviamo un tempo in cui si avvertono diffusamente la fame e la sete di sapere per capire meglio le sfide presenti oggi e per orientare bene il cammino dell’umanità. Antonio Gramsci è un punto di riferimento fondamentale per chi sente di vivere attivamente con lo sguardo profondo e la visione vivida dentro i travagli e le speranze del nostro drammatico tempo storico.

Il concetto di “egemonia culturale”, il ruolo dell’“intellettuale organico”, la “questione meridionale”, la funzione del partito politico, il respiro ampio dell’internazionalismo contrapposto all’arretratezza del nazionalismo, l’uso per quei tempi avanzatissimo della “teoria del linguaggio”: sono tutti criteri guida da approfondire, anche criticamente, strumenti utili per interpretare la storia, per capire la società attuale e per progettare il futuro.