Il cammino è segnato. Finalmente l’Agenda ambientale irrompe nella scena mondiale e conquista sempre maggiori consensi. Adesso tutto si gioca sul fattore tempo e sulla concretezza e coerenza degli impegni presi. Al G20 organizzato dall’Italia e guidato abilmente da un Draghi pro-ambiente stavolta qualcosa si è fatto. Basta? No, su questo bisogna non lesinare critiche e stimolare ulteriori obiettivi da raggiungere già in queste ore a Glasgow.
Ma attenzione a valutare bene sia i passi in avanti fatti, sia le contraddizioni e i limiti ancora presenti. Vediamo un po’ quali sono gli impegni presi al G20.
- È stato confermato, questa volta con un’adesione unanime, l’obiettivo sottoscritto a Parigi nel 2015 di contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi. A Glasgow bisogna fare di più convincendo i resistenti a convergere su questa soglia in tempi più veloci. Così si limiterebbero davvero i devastanti danni già causati dal cambiamento climatico in corso.
- La riduzione delle emissioni dei gas serra e soprattutto la decarbonizzazione dei processi industriali devono realizzarsi “entro o intorno la metà del secolo”. A Glasgow c’è da stringere sui tempi ed evitare che si giochi sull’ambiguità della data, rimasta non definita tra il 2050 e il 2060.
- Si è deciso di rispettare l’impegno già preso a Parigi nel 2015 di finanziare con 100 miliardi di dollari l’anno i Paesi in via di sviluppo, per compensare anche la loro transizione verso il green. Dalla società civile e dagli esperti dell’economia si chiede che in questi giorni a Glasgow si faccia un salto di qualità nell’attivare non solo le risorse pubbliche ma anche quelle private in tale direzione.
- Si è impresso uno stop ai contributi pubblici e privati all’industria del carbone a partire già dalla fine di quest’anno. Decarbonizzare il sistema industriale è decisivo per passare alla green economy e abbattere di molto i danni causati dal cambiamento climatico. Anche su questo punto a Glasgow si chiede di definire un percorso più concreto e per orientare un coinvolgimento più vasto di investimenti pubblici e privati verso la green economy compensando i problemi che sorgono soprattutto a danno dei lavoratori nella fase di transizione.
- Si è convenuto di piantare mille miliardi di alberi entro il 2030. Non deve sembrare una meta irrilevante. Naturalmente questa scelta non deve essere usata per mantenere l’attuale produzione di CO2 immessa nell’atmosfera, che va ridimensionata e di molto. Semmai deve essere l’occasione per ridare fiato, cioè “ossigeno” al nostro ecosistema. Da Glasgow può partire un ulteriore stimolo perché a livello locale si punti a un obiettivo ancora più ambizioso.
Il passaggio dal G20 di Roma alla Cop 26 di Glasgow deve aprire ulteriori spazi. Rimane infatti in sospeso la “questione delle questioni”: la data certa. I Tre colossi che inquinano (Cina, Russia, India, guarda caso assenti a Glasgow insieme alla Turchia) pensano chi al 2060 e chi addirittura al 2070 come l’India. Sino a poco tempo fa anche gli Stati Uniti con Trump non volevano sentir parlare di date e così l’Australia. Adesso Biden ha annunciato un piano di investimenti inedito per il passaggio all’economia green. La stessa Inghilterra non dava segni di svolta, a Glasgow invece il premier Johnson ha introdotto i lavori con una determinazione senza precedenti. Insomma, la politica, al di là delle appartenenze, inizia a ritrovarsi. Rimangono aperte delle falle con alcuni Paesi su cui bisogna ancora lavorare. Si sta comprendendo che la realtà è veramente drammatica e siamo già a pochi passi dal disastro, come il segretario generale dell’ONU Guterres ha onestamente riconosciuto. Gli ultimi sette anni sono stati i più caldi della Terra. I negazionisti si stanno arrendendo di fronte a incendi, alluvioni, siccità, scomparsa di specie animali, catastrofi naturali. Insomma, come sostiene Biden, siamo nel decennio decisivo della storia dell’umanità.
A Glasgow bisognerà riconoscere la necessità di ripensare e riprogettare a livello operativo la produzione industriale. Nello stesso modo dobbiamo tutti comprendere che è indispensabile rapportarci diversamente ai consumi e cambiare i nostri stili di vita. I giovani sono pronti. La critica sul bla-bla della politica inizia a fare breccia e Greta non è più una ragazza da deridere con toni cinici e spregiudicati, ma è la portavoce di un comune sentire, insieme ad altre giovani attiviste che stanno crescendo in tutto il mondo.
Rimane aperta l’Agenda sociale sulla lotta alle disuguaglianze. Su questo punto siamo tuttora molto indietro. A Roma, al G20 si è finalmente dato il via libera alla Web Tax da applicare ai colossi aziendali padroni della Rete. Si stanziano inoltre le risorse per consentire la vaccinazione dei Paesi poveri. Resta però ancora molto da fare.
Così sull’Agenda sui diritti umani si fa cenno solo ad un generico sostegno contro la discriminazione delle donne. Siamo lontani dal condividere comuni standard sulla promozione e il rispetto dei Diritti Umani.
Manca infine un reale rafforzamento dei poteri dell’ONU, superando il “potere di veto” e procedere verso una più moderna e incisiva struttura istituzionale, in grado di avviare un percorso da Stati Uniti del Mondo.